prologo.
Era primavera. Il cielo azzurro, interrotto da enormi nuvole bianche.
Il cortile della Federazione Russa degli Scrittori Proletari
traboccava di gente.
Via Voròvskij era bloccata. La folla ci confluiva dalla Krasnaja Presnja.
In piazza Arbatskaja, una massa sterminata
si rovesciava per le vie e i vicoli laterali.
Le guardie a cavallo trattenevano a stento la ressa.
Decine e decine di foto e cine apparecchi si levavano in alto,
sulle teste della gente.
C’era chi si affacciava dalle finestre, chi si sporgeva dai cornicioni.
Chi aveva portato i bambini e li teneva sulle spalle in modo
che potessero vedere.
C’era chi si arrampicava sui rami degli alberi
e chi stava aggrappato ai lampioni.
Erano in migliaia persino sui tetti delle case
e dai loro balconi pendevano drappi neri.
Poi le porte che sbattono, l’odore penetrante dei fiori,
il rumore cadenzato dei tacchi del picchetto d’onore,
la Divisione Moscovita dei Fucilieri dell’Armata Rossa.
La camera ardente fu chiusa.
Non fu altrettanto semplice chiudere la bara:
le eleganti scarpe J.M. Weston, numero 46, rinforzate in ferro
e comprate a Parigi,
non volevano proprio saperne di starci dentro. [...]
1.
Quando si parla della vita di un poeta,
se non è una biografia, possiamo farlo in qualsiasi modo.
Per un poeta si può navigare liberi nella cronologia,
si possono omettere nomi luoghi date.
Non è obbligatorio farsi dal principio.
Anche se non è obbligatorio farlo neppure nelle biografie.
L’uomo - frammento da Natività di Majakovskij [1916-17]
Nel cielo della mia Betlemme
non arse nessun segno,
nessuno impedì
a riccioluti Magi
il sonno di tomba
Fu assolutamente come tutti
- identico fino alla nausea -
il giorno
del mio avvento a voi.
E nessuno
pensò di alludere
all’ottusa
indelicata stella:
«Stella – dice –
cos’è questa vostra pigrizia di brillare invano?
Se non
per la nascita d’un uomo,
allora, stella,
per cosa diavolo bisogna festeggiare?»
La sua venuta al mondo, la raccontò così.
Per cui non parleremo della sua infanzia.
Ebbe un padre con la divisa da guardaboschi. Amò la madre. Ebbe due sorelle.
Nacque a Baghdati, un paesello costruito sulle sponde di un torrente di montagna.
Dove c’è il ponte, su, un po’ più a destra, verso i monti, c’è una casa in travi di castagno.
Ha una scala in pietra e le tre stanze, di cui è composta, hanno le finestre a sesto acuto.
Ecco, lì è nato Vladímir Vladímirovič. [...]
2.
[...]
Fu arrestato una seconda volta.
Atto d’accusa: rivolta violenta indirizzata a far cadere il governo.
Poi per una terza volta.
Sospettato di aver partecipato all’evasione di trenta prigioniere politiche
dal carcere femminile di Novinsk.
Fu condannato e condotto nel carcere di Basmannaja.
Faceva domanda agli uffici della polizia politica
di poter avere il necessario per disegnare.
Le guardie di custodia delle prigioni facevano domanda
perché il detenuto fosse trasferito in un’altra prigione.
Vladímir Vladímirovič reclamava di poter girare liberamente tra i detenuti,
non dava ascolto ai richiami delle guardie,
teneva un comportamento indisciplinato. Provocava sommosse.
Fu condotto nella prigione di Butyrki. In isolamento per cinque mesi.
Chi lo conobbe in quegli anni, parlava di lui come un uomo vigoroso e forte,
di come sapesse reagire indomito alle restrizioni del carcere.
Aveva solo sedici anni.
Fu rimesso in libertà,
ma prima della scarcerazione gli tolsero il quaderno
dove aveva iniziato a scrivere versi.
Ne uscì confuso, straniato ma consapevole di cos’è il pensiero
e di come un uomo può rispondere delle proprie convinzioni.
La sua vocazione di poeta cominciava con l’angoscia. Ma senza rassegnazione.
Cosciente che senza eccessi è difficile riuscire a cambiare le cose.
E non è neppure possibile emanciparsi senza sbattere le porte.
Aveva diciassette anni.
3.
[...]
Quei ragazzi della mensa erano quelli che avrebbero visto la guerra
e la rivoluzione.
Il mondo stava cambiando e loro non sarebbero rimasti lì, impassibili,
davanti all’enormità dell’onda che minacciava di sommergerli.
Una generazione che pulsava futuro,
alla ricerca inquieta di un nuovo equilibrio delle cose.
Con le loro contraddizioni e loro i contrasti,
non erano più concentrati esclusivamente sul presente
o raccolti e chiusi nel passato.
Contrastavano i padri, erano pronti a far piazza pulita
e cominciare a ricostruire da zero.
Non si sarebbero fermati. Avrebbero affrontato errori, delusioni, gioie.
Esultando e maledicendo.
Sentivano che tutto doveva cambiare e che tutto sarebbe cambiato.
Anche se non potevano sapere come.
Il futuro chiudeva loro le sue porte,
si offriva con l’incertezza, la precarietà, l’inquietudine, l’insicurezza,
ma non se ne preoccuparono: il futuro non si chiede, si prende.
Vive di noi stessi, delle nostre contraddizioni.
È difficile da vedere o anche solo da intuire. Il futuro andava fatto.
Il futuro va fatto.
Non dobbiamo aspettarlo, regolato, controllato e stabilito da altri.
Non ci è concesso attendere.
E lo affrontarono,
attraverso quella via per la quale ci dobbiamo arrampicare
o galleggiare verso di lui.
Fluttuò, galleggiò e si arrampicò anche Vladímir Vladímirovič,
con sedici denti rovinati e sognando la rivoluzione prima ancora che accadesse.
I denti buoni rimasero dove stavano i panini col salame.
4.
Leggeva libri e osservava i panini che risplendevano dalle vetrine delle trattorie.
Aveva già vissuto molto e molto sofferto, per il mal di denti.
Aveva persino realizzato una collezione di disegni
che rappresentavano una giraffa nero-dorata.
Era lui stesso: sempre disegnata con la testa fasciata.
Per cui non parleremo della sua consapevolezza.
Si fece nuovi amici e con loro parlava di quadri, di parole, di lettere confuse fra i colori.
I versi non li aveva ancora scritti, ma mulinavano in testa.
Leggeva, camminava per strada e parlava con tutti: vetturini, calzolai, fornai, tipografi.
Con i passanti e i compagni di scuola. Viveva. [...]
5.
[...]
Non ammetteva arte inutile: doveva essere testimone dello spirito dell’epoca,
e i classici dovevano essere trattati con una discreta arroganza.
“Non vengano con il loro enorme deretano di bronzo
a sbarrare la strada ai giovani poeti che oggi si aprono un varco”.
Aveva il suo punto di vista sull’universo, una carta schematica del mondo
un piano generale della storia.
Non aveva l’esperienza, ma si sentiva responsabile del mondo,
e la parola gli era necessaria.
“Il nuovo viene certo dal vecchio, ma ha il respiro di un ragazzo”.
E lui era un ragazzo, con una camicia di velluto nero e le mani grosse [...]
6.
[...]
Amò molto, Vladímir Vladímirovič,
con spasmi, convulsioni, singhiozzi da pazzo o da ubriaco.
Amò dai tetti rabbiosi, dai boulevard di prostitute,
tra i miraggi e i deliri della città.
Fu illusionista e visionario. Un commediante di focosità e follia.
E cercava l’amore.
Un amore che non si può sfogare né bevendo, né mangiando, né scrivendo poesie.
E collegava il destino del mondo con la lotta per questa unica felicità.
Pose un ponte verso il futuro e lì ristette.
Occorre la felicità, in questa terra e in questo momento. Qui e ora.
Un’affermazione e una consapevolezza immediata della propria esistenza.
E verso questa felicità camminò attraversando la Rivoluzione.
Per cui non parleremo né dei sui amori né delle sue donne.
7.
[...]
Arrivò la Rivoluzione.
Ebbe inizio con le code per il pane e l’indignazione dei soldati.
Cominciò come in montagna fanno le nuvole e il vento.
Era l’alba del 28 febbraio.
Vladímir Vladímirovič si aggirava come un uragano per la prospettiva Nevskij,
il cappotto sbottonato, i capelli arruffati dal vento.
“Dove andate?” “Là. Non lo sentite? Sparano!”
“Ma voi non lo avete un fucile!” “Io vado là, dove sparano”
“Perché?” “Non lo so!”
Prese in mano dei giornali e agitandoli come bandiere corse là,
verso gli spari.
Entrò nella rivoluzione come se entrasse in casa propria.
E come si fa in casa propria, iniziò a spalancare finestre.
Sempre con la voglia di distruggere e ricominciare da capo.
Con l‘entusiasmo e la speranza di cambiare il mondo,
convinto che l’arte dovesse intervenire con rabbia e violenza.
Ma gli occorreva qualcosa di più della Rivoluzione.
Per cui non ne parleremo.
epilogo.
Vladímir Vladímirovič, fu compagno di viaggio e sollecitatore d’idee:
questa fu la sua lezione.
Se stava su una sedia - che stesse giocando a carte o addentasse un pezzo di carne -
sembrava fosse seduto su un sellino di una moto. Sporgeva il corpo in avanti,
guardava di sbieco e non muoveva la testa: provocava, convinceva, metteva a disagio.
Con una voce strascicata e sorda e un pugno da pugile, micidiale nella sua vivacità:
una via di mezzo tra un eroe di Jack London e un torero spagnolo.
Dall’alto del suo metro e novanta riusciva a dire tutto:
inesorabilmente e una volta per sempre.
Scagliava le cose in faccia alla società e anche molto più lontano. [...]
il testo
La nuvola in calzoni - prologo [ 1914-15 ]
Il vostro pensiero sognante sul cervello rammollito,
come un lacchè ingrassato su un unto sofà,
istigherò contro l’insanguinato straccio del cuore:
sfrontato e mordace, schernirò a sazietà.
Non ho nell’anima nessun capello canuto,
e neanche senile tenerezza!
Stordendo l’universo con la potenza della mia voce,
vado - bella,
ventiduenne.
Delicati!
Voi disponete l’amore sui violini.
Il rozzo sui timpani dispone l’amore.
Ma come me non potete torcervi,
per diventare un labbro continuo!
Venite a istruirvi
dal salotto, addobbata di batista,
cerimoniosa impiegata dell’angelica lega,
voi che con calma sfogliare le labbra
come una cuoca le pagine del libro di cucina.
Se volete,
sarò carne rabbiosa,
e, come il cielo variando i toni,
se volete,
sarò inappuntabilmente soave,
non uomo, [ non donna ] ma nuvola in calzoni!
i Giovani [ 1922 ]
Ai giovani una gran massa di compiti.
S’insegna la grammatica a scemi d’ambo i sessi.
A me invece
m'hanno sbattuto fuori dalla 5^ classe.
Hanno iniziato a sballottarmi nelle prigioni di Mosca.
Nel vostro
piccolo mondo
di appartamenti
si coltivano ricciute liriche per camere da letto.
Che vuoi trovarci in queste liriche da barboncini?
A me, ecco,
ad amare
l'hanno insegnato
nelle carceri di Butyrki.
Ma quale nostalgia del Bois de Boulogne,
Ma quale rimpianto di panorami sul mare!
Io ecco
m'innamorai
dell’«Impresa pompe funebri»
dallo spioncino della cella 103.
Chi vede ogni giorno il sole,
si monta la testa.
«Cosa varranno mai, dicono, quei miseri raggi?»
Ma io
per un riverbero giallo
sul muro
avrei dato allora – qualsiasi cosa al mondo.
Ne risponderete! [ 1913 ]
Tuona senza tregua il tamburo della guerra.
Il ferro chiama a trafiggere le carni.
Da ogni nazione
uno schiavo dopo l’altro
è gettato sull’acciaio della baionetta
Perché?
Trema la terra,
affamata,
spogliata.
Hanno dissolto l’umanità in un bagno di sangue
solo perché
qualcuno
da qualche parte
s’impadronisse dell’Albania.
Si è scontrata la collera delle mute umane,
grava sopra il mondo colpo su colpo
solo perché
gratuitamente
le navi di qualcuno giungano
al Bosforo.
Presto
al mondo non resterà
costola illesa.
E gli squarceranno l’anima.
E lì la schiacceranno
solo perché
qualcuno
s’impossessi
della Mesopotamia.
In nome di cosa
lo stivale
scricchiolante e rozzo schiaccia la terra?
Chi è nel cielo delle battaglie –
la libertà?
dio?
Il Rublo!
Quand’è che ti solleverai, in tutta la tua grandezza
tu,
che a loro dài la tua vita?
Quand’è che gli getterai in faccia la domanda:
per cosa combattiamo?
Ma voi potreste? [ 1913 ]
Di colpo macchiai la mappa del mio quotidiano,
ci versai del colore da un bicchiere;
sopra un piatto di gelatina mostrai
gli zigomi sbilenchi dell’oceano.
Sulla scaglia di un pesce di latta
conobbi il richiamo di nuove labbra.
Ma voi
sareste capaci
di suonare un notturno
su di un flauto di gronde?
Per una signorina [ 1920 ]
Quella sera stavo decidendo –
e se diventassimo amanti? –
È buio,
nessuno ci vedrà.
Mi sono chinato davvero,
e davvero
io,
chinandomi,
le dissi
come un padre premuroso:
«La passione è un dirupo scosceso –
Abbiate la bontà,
fate un passo indietro
fate un passo indietro,
abbiate la bontà,».
La nuvola in calzoni - epilogo [ 1914-15 ]
Non mi fermerete.
Che io sbagli
o abbia ragione,
non potrei essere più calmo.
Guardate -
hanno nuovamente decapitato le stelle
e insanguinato il cielo come un mattatoio!
Ehi, voi!
Cielo,
Toglietevi il cappello!
Me ne vado!
Non sente.
L’universo dorme,
poggiando sulla zampa
l’enorme orecchio stellato di zecche.
Il testo è stato composto attraverso citazioni elaborazioni e documentazioni da
Lili Brik, Con Majakovskij – intervistata da Carlo Benedetti, Editori Riuniti 1978
Pierpaolo Capovilla, Majakovskij - Eresia, Auditorium Edizioni 2011
Roman Jakobson, Una generazione che ha dissipato i suoi poeti – Il problema Majakovskij – a cura di Vittorio Strada, Giulio Einaudi Editore, 1973
Dario Fo, Majakovskij – dimeticato e sconosciuto, Editori Internazionali Riuniti 2015
Vasilij Katanian, Vita di Majakovskij, Editori Riuniti 1978
Vladìmir Majakovskij, Cinema e cinema – a cura di Alessandro Bruciamonti, Stampa Alternativa 1993
Vladìmir Majakovskij, Il flauto di vertebre – a cura di Bruno Carnevali, Passigli Editori 1999
Vladìmir Majakovskij, Io stesso – traduzione di Ignazio Ambrogio, in Lili Brik - Con Majakovski, Editori Riuniti 1978
Vladìmir Majakovskij, Lènin – a cura di Angelo Maria Ripellino, Giulio Einaudi Editore 1967
Vladìmir Majakovskij, Lettere d'amore a Lilja Brik, Arnoldo Mondadori Editore 1972
Vladìmir Majakovskij, Opere scelte – a cura di Mario De Micheli, Feltrinelli Editore 1976
Vladìmir Majakovskij, Per la voce – 13 poesie di Vladimir Majakovskij in un libro costruito da El Lisitskij, Verba Edizioni Milano 1978
Vladìmir Majakovskij, Poesia e rivoluzione – a cura di Ignazio Ambrogio, Editori Riuniti 1973
Vladìmir Majakovskij, Poesie – a cura di Guido Carpi – introduzione di Stefano Garzonio, RCS Libri 2014
Boris Pasternak, Autobiografia, Feltrinelli Editore 2007
Boris Pasternak, il Salvacondotto, Passigli Editori 1998
Damiano Sannini, Io e Majakovskij in Chi Dio? La Poesia? Misteriosamente - Poesie e teatro di disperata attualità, a cura di Andrea Mancini, Titivillus 2010
Viktor Sklovskij, Majakovskij – futurismo, formalismo e strutturalismo, il Saggiatore 1967
Serena Vitale, Il defunto odiava i pettegolezzi, Adelphi 2013
Per conoscere l’avanguardia russa – a cura di Serena Vitale, Arnoldo Mondadori Editore 1979
Per conoscere Majakovkij “massimo poeta della rivoluzione” – a cura di Giovanni Buttafava, Mondadori Editore 1977
Poeti russi nella rivoluzione - Blok, Esenin, Maiakovski, Pasternak – a cura di Bruno Carnevali, Newton Compton Editori 1974
e con frammenti testimonianze e ricordi da
David D. Burljuk
Aleksei E. Kručënych
Ljudmilla V. Majakoskaja
Anatolij V. Lunačarskij, Vita e morte in Komsomolskaja pravda, 20 aprile 1930
N. Serbov
Elsa Triolet, Maïakovski, vers et proses, Parigi 1957
Literaturnaja gazeta, 21 aprile 1930